Voucher intervento manovra correzione Governo Gentiloni

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I tanti discussi voucher messi in essere dal 2003 per remunerare lavori occasionali e accessori subiranno una manovra correttiva con un intervento del Governo Gentiloni, a questo proposito pubblichiamo un articolo rilevato da Intelligonews che spiega correttamente i vari passaggi.

Articolo di Intelligonews, scritto da Luca Lippi, il 27 dicembre 2016:

Drastica manovra di correzione sui Voucher, soprattutto per contrastarne l’utilizzo ‘improprio’. In concreto, il governo Gentiloni vuole evitare a tutti i costi il referendum sul Jobs Act, e questo in parte è il segnale che il governo attualmente in carica è tutt’altro che un governo di transizione. A dispetto di chi o di cosa lo scopriremo col tempo.

Intevento sui Voucher da dieci euro
Il governo è pronto a intervenire sui ticket da dieci euro lordi diventati il simbolo della nuova precarietà, e soprattutto la stura per invocare il referendum. Ufficialmente si attende il monitoraggio sulla tracciabilità dei ticket che l’Inps ha intenzione di pubblicare per gennaio e soprattutto si aspetta la decisione della Consulta dell’11 gennaio. 
Il governo pensa che dei tre quesiti proposti dalla Cgil passerà alla fine solo quello che riguarda i voucher: in quest’ottica prepara allora un intervento che eviterebbe le urne.
Dopo che l’Inps ha pubblicato il rapporto dell’Osservatorio sul precariato, il Governo si interroga sull’impatto dei voucher sul mercato del lavoro, in particolare sui contratti di lavoro.
Cos’è il Voucher e come funziona
In origine, i Voucher sono nati nel 2003 per remunerare il lavoro occasionale e accessorio. Usati dal 2008, ne sono stati venduti oltre 212 milioni. 
La riforma Fornero e il Jobs Act ne hanno liberalizzato l’uso: si possono usare per tutti i tipi di lavoro e con un tetto per lavoratore fino a 7mila euro. 
In prospettiva, il governo Gentiloni vuole limitarne l’abuso, laddove nasconde lavoro irregolare. Abbassando i tetti, incrementando sanzioni e controlli.
Teoricamente i voucher avrebbero dovuto servire per consentire l’emersione del lavoro nero. Ma è accaduto esattamente l’opposto, ovvero i ticket vengono utilizzati per nascondere il lavoro nero. A dirlo non è solo la Cgil ma anche il presidente della Commissione Lavoro della Camera Cesare Damiano e il presidente dell’Inps Tito Boeri che ha definito i voucher la nuova frontiera del precariato. Tradotto, il problema relativo ai voucher è questo: il datore di lavoro segna un’ora pagata con i voucher lavoro ma è possibile che il lavoratore (tutt’altro che occasionale) di ore effettive ne abbia lavorate molte di più. Poi, quando scattano i controlli a campione o, nella peggiore delle ipotesi, si verifica un incidente sul lavoro il datore di lavoro prontamente compila anche i voucher per coprire le ore restanti in modo da risultare in regola con i contributi. 
Sulla modifica della normativa relativa ai voucher e al pagamento del lavoro accessorio anche Cesare Damiano si è detto possibilista, spiegando che è necessario limitarne l’uso, magari tornando alla Legge Biagi. 
Damiano lo diceva già qualche tempo fa: “le prestazioni di lavoro accessorio devono tornare ad essere attività lavorative di natura meramente occasionale, rese da soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel mercato del lavoro. Biagi elencava le tipologie: piccoli lavori domestici, assistenza domiciliare a bambini o persone anziane ammalate o con handicap. E ancora: l’insegnamento privato supplementare, piccoli lavori di giardinaggio, nonché di pulizia e manutenzione di edifici e monumenti, e così via. Lo spirito della legge Biagi è stato profondamente cambiato. Così l’idea di far emergere quote di lavoro nero si è trasformata esattamente nel suo contrario”.
Come vuole agire il governo
Le idee sono ancora ‘solamente idee’ e nell’immediato non esiste neanche troppo margine di azione, tuttavia un maggior controllo e maggiori sanzioni unitamente alla riduzione dei tetti massimi, sarebbe scuramente ‘il pronto intervento’ più adeguato. Più nello specifico, abbassando i tetti massimi da 7 mila a 5 mila euro (o meno);  prevedendo controlli più stringenti per individuare quei datori che usano i voucher per evitare di fare contratti, oppure introducendo sanzioni più alte per gli abusi, sono i metodi da seguire per dare una sterzata netta alla china negativa intrapresa nell’utilizzo dello strumento.
E’ vero anche, però, che si dovrà monitorare l’utilità dell’obbligo da parte dei datori di lavoro di inviare una mail o un sms un’ora prima che inizi la prestazione remunerata. Poi c’è il problema non da poco della incombente sentenza della Corte Costituzionale sulla richiesta di referendum sul Jobs Act avanzata dalla Cgil. Se il referendum sarà giudicato ammissibile bisognerà capire il quesito che sarà proposto e se questo riguarda l’intero Jobs Act oppure solamente sull’uso dei Voucher.
Quali rischi si corrono
In attesa che si compia un percorso chiaro e netto sulla eventuale riformulazione del Jobs Act, ma soprattutto sull’utilizzo dei Voucher, la certezza che pone diversi interrogativi sull’ooportunità o meno di intervenire con una stretta decisa all’uso del voucher fa elevare il rischio di un aumento vertiginoso di lavoro nero.
La pronuncia della Corte Costituzionale sul referendum costituirà sicuramente il punto di svolta. Ai lavoratori non resta che attendere di capire quale sarà il loro destino, sempre che l’attesa sia possibile e che non porti ad incrementare ulteriormente il continuo esodo verso l’estero (per chi può farlo) o, cosa ben più grave, la povertà delle famiglie italiane.
I quesiti referendari 
Voucher: Il primo referendum presentato dalla Cgil riguarda l’abolizione dei cosiddetti voucher, ossia la retribuzione del lavoro accessorio attraverso dei buoni. Nel quesito referendario sarà chiesto agli elettori: “Volete l’abrogazione degli articoli 48, 49 e 50 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, recante Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’art. 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183?”.
Articolo 18: Il secondo referendum proposto dalla Cgil riguarda il ripristino dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, cioè l’articolo che sancisce il diritto al reintegro da parte del lavoratore licenziato senza una giusta causa. L’articolo 18 fa parte dello statuto dei lavoratori, cioè della legge numero 300 del 20 maggio 1970, che contiene le norme “sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro”.
Responsabilità imprese appaltatrici: Il terzo referendum chiede l’abolizione dell’articolo 29 del decreto legislativo
10 settembre 2003, cioè il ripristino della responsabilità dell’azienda appaltatrice, oltre a quella che prende l’appalto, in caso di violazioni subite dai lavoratori, norma che era stata cancellata dalla legge Biagi, in seguito modificata dalla legge Fornero. Se il referendum fosse approvato sarebbe chiamato a rispondere anche il committente per eventuali violazioni compiute dall’impresa appaltatrice nei confronti del lavoratore.
Tutti danno per scontato che tra poco meno di un mese la Consulta darà il via libera ai tre quesiti referendari, a quel punto Poletti e Gentiloni si troveranno di fronte ad un bivio; da una parte la soluzione più semplice e già tracciata dal Ministro del Lavoro: accettare che si andrà a votare sul Jobs Act e quindi far approvare quanto prima la nuova legge elettorale per andare al voto in primavera e quindi far slittare di un anno il referendum abrogativo che rischierebbe di trasformarsi in un ennesima chiamata alle armi delle opposizioni per abbattere una volta per tutte Renzi. L’alternativa è quella di mettere mano al Jobs Act per ritoccarlo in quelle parti oggetto del referendum in modo da evitare che gli italiani vengano chiamati alle urne per esprimersi su uno dei punti cardine dell’azione di governo di Matteo Renzi. 
È una strada perfettamente percorribile che però presenta più di qualche problema in primis l’indisponibilità di Poletti di andare a smantellare alcuni aspetti fondamentali del Jobs Act come ad esempio l’abolizione dell’articolo 18 o i voucher. Per Poletti e Gentiloni sarebbe un po’ come rinnegare uno dei leit motiv della narrativa renziana, la vulgata che vuole che il Jobs Act sia in grado di far ripartire il Paese.’
Fonte: Intelligonews
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