Pensioni Agrigento povera Ragusa ricca inaccettabile disuguaglianza

Ricatto emotivo

Secondo una lista di Sole 24 Ore Agrigento è la città dove le pensioni percepite sono le più inferiori rispetto alla media elargite a tutte le altre, ben 10.300 pensionati, all’interno della provincia di Agrigento, ricevono mensilmente una pensione ridicola di 246 euro, con la quale sopravvivere, di contro a Ragusa, l’Ars versa sui conti correnti di personaggi pubblici quali politici regionali, eletti nella provincia, risorse finanziarie distribuite in vitalizi diretti, vitalizi di reversibilità, pensioni dirette pro rata, tenendo presente che l’istituto dei vitalizi a favore degli ex deputati dell’Ars è stato abolito dal 2012!  I beneficiari per conseguire l’assegno vitalizio o pensione dovranno raggiungere l’età minima di 65 anni, ovvero 60 anni per chi ha svolto il mandato per almeno 10 anni.  Una media per deputato 4.916 euro mensili. Per la reversibilità la media pro capite dell’assegno è 4.510 euro mensili. La pensione erogata con con il nuovo sistema pro-rata pesa per una media mensile di 5,813 euro ed è ad un unico beneficiario. Una inaccettabile quanto inqualificabile disuguaglianza tra Agrigento povera e Ragusa ricca.

Ma le disuguaglianze non sono solo fra Agrigento e Ragusa, anche se eclatante non è un fatto isolato, il problema abbraccia tutto il territorio nazionale con queste inique ingiustizie a cui non si pone rimedio, nessun partito e di qualsiasi colore ha mai messo un veto a questa ingiustizia sociale, tanto meno il sindacato, il quale ha perso ogni credibilità per il suo ormai insignificante valore nella difesa dei più deboli.

In un interessante intervista dell’Huffington Post a Michela Murgia si legge: Quando il sindacato ha manifestato per difendere l’articolo 18, si è schierato dalla parte di un quarto dei lavoratori italiani, quelli che godevano della tutela contro il licenziamento senza giusta causa, accettando che gli altri ne facessero a meno. Il sindacato ha giocato in difesa e ha finito inevitabilmente per rappresentare solo quelli che erano già garantiti’ – ‘Quando lavoravo nel call center, non ho mai visto lì dentro un sindacalista. Lo raccontavo a Paolo Virzì mentre scrivevamo la sceneggiatura del suo film e non capiva come fosse possibile. Gli è sembrato così assurdo che ha voluto inserire comunque un personaggio che difende i diritti dei lavoratori nella stesura finale. Un falso storico. Perché in quella realtà il sindacato non c’era mai entrato. Già allora era un’organizzazione di pensionati, che riconosceva diritti solo alle persone già riconosciute. Noi, al contrario, stavamo in una nebulosa giuridica che negava la nostra esistenza.’

Michela Murgia, autrice del libro ‘Il mondo deve sapere’, afferma: ‘Ti rivolti se percepisci che la precarietà è un’anomalia. Un’ingiustizia. Invece, la narrazione mediatica e la volontà politica ti spingono a credere che l’anormalità sia l’avere diritti. Chiamiamo i lavoratori assunti con un contratto nazionale “iper-tutelati”. È così che è passata l’idea che non fossimo noi figli ad avere poco ma i nostri padri ad avere troppo. È la storia della lotta intergenerazionale. Un racconto formidabile, secondo il quale il tuo nemico non è il mercato: no, sono i tuoi genitori che sono andati in pensione presto.’.

Conclude con profonda amarezza la sua intervista: ‘È necessario ridurre lo scarto di potere che consente al più forte di manipolare il più debole, rendendolo complice del suo stesso sfruttamento. È questo l’obiettivo politico. Non la stabilizzazione in un posto di merda. Non augurerei a nessuno di stare tutta la vita in un call center.’ – ‘Ci vorrebbe un cambio di sistema, con una classe politica indipendente dai poteri dell’economia. Ma la vede in giro?’ – ‘No, non la vedo. Sarebbe necessario coltivare un’idea di mondo, avere una cultura politica solida. E nessuno la ha più. Nemmeno i Cinque Stelle, a cui pure i lavoratori che non hanno più fiducia nei loro riferimenti tradizionali, si rivolgono.’.

Riflettiamo, meditiamo su quanto dichiarato da Michela Murgia, non è una battaglia intergenerazionale ma un sistema politico e sociale da cambiare, da evolvere per ottenere giustizia ed equità, ritornando a quei valori chiamati  ‘vecchi merletti’; in un articolo scritto da Elide Rossi e Alfredo Mosca de L’Opinione, che si augurano: ”Ecco perché servirebbe un sindacato moderno, agile, aggiornato e snello nella struttura, un sindacato con una formazione d’eccellenza in grado di proporre e ribattere punto su punto. Un sindacato al passo con i tempi e i cambiamenti della società, dell’impresa, del mercato e dell’economia; insomma, un sindacato forte e d’attacco e non da difesa sterile e antica. Solo così i vecchi merletti e le goffe strutture potranno trasformarsi in organismi smart, pungenti e preparati, in grado con linguaggi nuovi e metodi moderni di migliorare il mondo del lavoro e aiutare il Paese a crescere davvero.’, dimenticando che i ‘vecchi merletti’ hanno combattuto e lottato fino allo stremo delle loro forze per avere un’Italia migliore e se oggi si sono adagiati è perché,strada facendo,hanno perso la loro vera identità diventando una propaggine del Governo e basterebbe solo un atto di forza coraggiosa ritornando ad essere un sindacato con i valori con i quali era diventato grande oppositore alle ingiustizie sociali-lavorative.

Fonte: Ragusanews-IlSole24Ore-L’HuffingtonPost-L’Opinione

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