Jobs Act Avvocatura Stato contro Cgil referendum art. 18

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L’Avvocatura dello Stato ha depositato ben tre memorie contro il sindacato Cgil per il referendum riguardante l’art. 18 dello Statuto del lavoratore da sottoporre al giudizio popolare per apportare modifica allo Jobs Act, l’accusa pesante che serpeggia anche se non si usa specificatamente la parola è imbroglio, spiega la memoria: ha ‘carattere surrettiziamente propositivo e manipolativo’ e per questo ‘si palesa inammissibile’, una tesi sostenuta dall’Avvocatura dello Stato nella memoria depositata oggi per conto della Presidenza del Consiglio, in vista della decisione della Corte Costituzionale sull’ammissibilità dei referendum sul lavoro.

Da un articolo apparso su La Repubblica, in Economia & Finanza: ‘Ma non solo. L’abrogazione, attraverso il referendum, delle norme sui voucher previste sempre dal Jobs Act rischia di produrre un vuoto normativo. “L’ abrogazione dal corpo del decreto legislativo 81/2015 dei tre articoli suddetti – si legge nella memoria – potrebbe determinare un vuoto normativo idoneo a privare di una compiuta e necessaria regolamentazione, tutte quelle prestazioni che – per la loro limitata estensione quantitativa o temporale – non risultino utilmente sussumibili nel paradigma normativo del lavoro a termine o di altre figure giuridiche contemplate dall’ordinamento vigente”. L’Avvocatura rileva che “il proposito referendario non è tanto quello di sopprimere il ‘voucher’, quale strumento di remunerazione e disciplina del lavoro accessorio, ma di abolire lo stesso istituto del lavoro accessorio” e su questa base chiede che il quesito sia dichiarato inammissibile dalla Corte Costituzionale.

L‘Avvocatura dello Stato ha depositato oggi le tre memorie sui referendum abrogativi in materia di lavoro che la Corte Costituzionale dovrà valutare sul piano dell’ammissibilità l’11 gennaio. L’Avvocatura agisce per conto della Presidenza del Consiglio che ha deciso di costituirsi. Estensore delle memorie è Vincenzo Nunziata, vice avvocato generale. I quesiti che la Consulta esaminerà in camera di consiglio sono tre: uno sulle modifiche all‘art.18 apportate dal Jobs Act in materia di licenziamenti, uno sulle disposizioni che limitano la responsabilità in solido di appaltatore e appaltante, in caso di violazioni nei confronti del lavoratore; e uno sui cosiddetti voucher, ossia i buoni lavoro per il pagamento delle prestazioni accessorie previsti sempre dal Jobs Act. I giudici costituzionali a cui è stato affidato il ruolo di relatori sono, per il primo quesito Silvana Sciarra, per il secondo Mario Morelli e per il terzo Giulio Prosperetti. I referendum sono stati proposti dalla Cgil, che ha raccolto oltre 3 milioni di firme a sostegno.

Il quesito referendario sull’art.18, “proponendosi di abrogare parzialmente la normativa in materia di licenziamento illegittimo, di fatto la sostituisce con un’altra disciplina assolutamente diversa ed estranea al contesto normativo di riferimento; disciplina che il quesito ed il corpo elettorale non possono creare ex novo, né direttamente costruire”, scrive l’Avvocatura dello Stato sostenendo che il quesito punta a estendere i vincoli al licenziamento previsti dall’art.18 a tutte le aziende con più di 5 dipendenti. Nell’articolo 18 l’ambito di applicazione della tutela reale viene stabilito differenziando a seconda che il datore di lavoro occupi più di 15 o più di 5 dipendenti: la disposizione contiene due regole speciali, la prima vale per le organizzazioni diverse dalle imprese agricole, la seconda solo per le imprese agricole.

Invece “l’intento dei promotori del referendum – rileva l’Avvocatura – è quello di produrre una norma (la tutela reale per tutti i datori di lavoro con più di 5 dipendenti) che chiaramente estrae il limite dei 5 dipendenti, previsto per le sole imprese agricole, per applicarlo a tutti i datori di lavoro, a prescindere.dal tipo di attività svolta”. Ma “secondo costante giurisprudenza costituzionale in tema di referendum abrogativo, non sono ammesse tecniche di ritaglio dei quesiti che utilizzino il testo di una legge come serbatoio di parole cui attingere per costruire nuove disposizioni”.

Fonte LaRepubblica

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